Quando l’Islàm giunse in India, le popolazioni non si assoggettarono facilmente alla nuova religione, cosi diversa da quella propria tradizionale.
La stessa arte indù.
Con la sua esuberanza figurativa, si poneva all’estremo opposto rispetto all’avversione per la rappresentazione di figure propria del pensiero musulmano.
Ma l’islàm in India non poté fare a meno di risentire della culture e della somma di tradizioni locali: ecco quindi che nelle comunità musulmane indiane si trovano le processioni di immagini dei santi (cosa strettamente vietata dall’lslàm del Vicino Oriente), la riduzione delle cinque preghiere giornaliere a una sola e, presso la tribù dei Mopla, nel Kerala (India del Sud) la stretta discendenza matrilineare, estranea alla mentalità virile musulmana ma comune alle tradizioni matriarcali delle aree tribali indiane.
L’eredità della dominazione islamica, durata nell’India del Nord ben 700 anni (dalle prime invasioni alla colonizzazione inglese), è oggi rappresentata dal ricchissimo patrimonio artistico Moghul e da circa 75 milioni di fedeli musulmani.
Tale relativamente ridotta presenza umana è dovuta al fatto che la forte cultura induista, che già aveva neutralizzato il buddismo, restò pressoché inalterate durante il periodo che va dall’XI al XVIII secolo, fossilizzando in una sorta di ortodossia sotterranea che le consenti, alla caduta dell’impero islamico, di riemergere incontaminata nei suoi tratti più peculiari.
Nella vita quotidiana dell’India attuale permangono, e in zone limitate, solo alcuni costumi islamici qual il PURDAH l’isolamento domestico cui è tenuta la donna, la quale deve in pubblico apparire col viso coperto e l’uso del narghilè.
I musulmani di oggi, quelli che al momento della spartizione del 1947 non si sono trasferiti in Pakistan., restano una minoranza (diffusa, a parte alcune città dell’Uttar Pradesh, negli stati confinanti con il Pakistan) che nel tempo tende sempre più a fondersi con la popolazione indù assimilando costume e il credo religioso.