Ogni giorno già dalle 8 di mattina ricevo oltre 20 chiamate da diversi callcenter "rompi scatole". Per cui appena ricevo la chiamata, blocco subito il numero, controllo che non sia qualche callcenter e dopo la verifica, vi chiamerò io. Grazie per la comprensione!
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Siddharta Gautama, figlio del principe suddhodana della stirpe regale dei Sakya, nacque verso il 560 a.C. a Kapilavastu, piccolo regno presso Patna, alle pendici dell’ Himalaya. I saggi chiamati dal padre per esaminare il neonato videro in lui un nuovo Salvatore per l’ umanità, cosicchè gli fu imposto il nome di Siddharta, «il costruttore».
A 29 anni abbandonò la sfarzosa vita di palazzo per ritirarsi presso la città di Gaya, in meditazione ascetica. Dopo alcuni anni raggiunse l’illuminazione divenendo così Buddha (lo Svegliato, l’illuminato), e a Sarnath, vicino a Banares, nel parco delle Gazzelle,
tenne il primo sermone a cinque condiscepoli; da allora in poi condusse vita errante, predicando e prestando aiuto ai sofferenti.
Quando senti che la morte gli era vicina, all’età di 81 anni, radunò I suoi discepoli e si ritirò in un bosco dove mori in pace; il suo corpo venne bruciato secondo l’uso tradizionale indiano e le sue ossa vennero distribuite fra i discepoli, che fecero costruire dei templi a campana (stupa) per contenere le reliquie del loro maestro santificato.
Grazie alla predicazione dei monaci itineranti e alla protezione del re Ashoka, che si converti al nuovo credo, il buddismo si diffuse in tutta l’india e Sri Lanka, ovunque erigendo stupa per pregare il Maestro e monasteri per accogliere coloro che intendevano darsi alla vita ascetica.
La dottrina del Buddha sul piano filosofico si distacca completamente dalla concezione induista dell’universo.
Tutto l’interesse di quest filosofia atea nasce da una rivolta storica al predominio assoluto del potere dei brahmini, i sacerdoti dei templi indù; dichiarando l’uguaglianza assoluta di ogni uomo il buddismo faceva cadere la divisione in caste che frammentava la società Indiana del tempo.
l cardini su cui poggia lo sviluppo del pensiero filosofico e religioso del Buddha vennero definiti nel sermone di Benares, detto anche « delle Quattro Nobili verità » :1) la vita è dolore :2) la causa prima del dolore è il desiderio ;3) il dolore di vivere cessa quando cessano i desideri ;4) il mezzo per raggiungere la pace e la serenità è di seguire l’ottuplice sentiero, e cioè retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retta concentrazione, retto sforzo e retto ricordo, quando l’uomo saprà comportarsi, secondo questo messaggio potrà raggiungere I’illuminazione del nirvana, il paradiso liberarsi dal desiderio materiale che vincola l’uomo al ciclo di morte e rinascita è quindi la stessa anima è che si-perfeziona via via in un divenire illimitato ; nel buddismo, invece, l’anima muore con il corpo, e ogni nascita porta un’anima diversa.
Verso il, ll secolo d.C. il buddismo prese piede in tutta l’area a est dell’india scindendosi in due correnti diverse che divennero scuole canoniche nel IV secolo : il buddismo hinayana, detto <<del piccolo veicolo>>, che mantenne intatto da successive contaminazioni l’originario pensiero del Maestro e si sviluppò soprattutto in Sri Lanka e nella regione indocinese, e il Mahayana o <<grande veicolo>>, diffuse in Tibet, in Cina, in Giappone e in Mongolia, che si fuse con le religioni popolari delle antiche tradizioni cercando l’eventuale illuminazione non in un fatto private strettamente individuale, ma collettivo, esteso a tutti gli esseri.
Agli inizi del ll millennio d.C. quasi più nulla, a parte le splendide testimonianze architettoniche tuttora visibili, rimaneva in India del pensiero buddista.
Il brahmanesimo che non era stato dimenticato neppure durante gli anni di Ashoka, aveva infatti gradualmente assorbito il buddismo Mahayana, venerando il Buddha come una delle tante divinità del pantheon indù e attribuendogli a volte una controparte femminile.
Tale processo di annullamento per assimilazione era ormai concluso nell’VIII secolo, tanto che il buddismo indiano, per mantenere una certa unità religiosa, si vide costretto a trasformarsi in diversi culti settari di tipo monastico, come quello dei kalachakra o quello tantrico che si sviluppò nel IX secolo press oil monastero dei primi anni dell’XI secolo: individuando nei grandi monasteri dei focolai d’opposizione alla loro Guerra santa, i musulmani ricorsero non solo alla distruzione materiale ma anche a quella morale, accusando i monaci di stregoneria.
Oggi in India i buddisti sono circa 5 milioni, cioè lo 0,7% della popolazione, raggruppati soprattutto nelle estreme regioni settentrionali : qui l’afflusso dei rifugiati tibetani dopo l’occupazione del Tibet da parte della Cina ha portato in alcuni casi alla costituzione di comunità a maggioranza buddista.
Nato nel secolo XV per opera del guru (maestro) Nanak, il sikhismo si diffuse grazie all’azione e alla
predicazione dei nove guru che uno dopo l’altro succedettero al primo maestro raccogliendone gli insegnamenti morali e religiosi in un libro sacro, paragonabile alla Bibbia, detto Adi Granth.
La parola sikh significa disciplina, e indica una sorta di tentativo sintetico e metodico di conciliare la religione induista e quella dell’Islàm.
E non a caso la regione Indiana in cui si trovano I fedeli sikh ( attualmente oltre 10 milioni) è il Punjab, la cui capitale sacra è Amritsar, al confine con lo stato islamico del Pakistan.
In questa parte dell’India, al tempo di Nanak, il dominio musulmano durava da secoli.
Il maestro prima di morire nominò un successore per portare a termine quel rinnovamento sociale e religioso per cui si era adoperato per tutta la vita, propugnando, oltre all’abolizione delle caste, l’emancipazione femminile e vietando il costume del sati, cioè dell’obbligo, per la donna rimasta vedova, di gettarsi sul rogo funebre del marito.
Verso la fine del Cinquecento, con il quarto guru Ram Das, venne edificato ad Amritsar il Tempio d’Oro ( in cui viene ancor’oggi conservato il Granth), che però in seguito fudistrutto da un’invasione di fanatici musulmani: da quel giorno I Sikh divennero un popolo di guerrieri. L’ultimo guru, Gobind ( morto nel 1708 ), adottò l’appellativo di singh, << LEONE>>, che funge tuttora da cognome collettivo per tutti coloro che professano il Sikhismo, e combatté il nemico fino ad assicurare alla propria religione, che proclama l’esistenza di un solo dio astratto e senza forma che abbraccia l’universo, una certa sicurezza.
A Gobind Singh si deve la fissazione canonica di alcune regole, tra le qual quelle che presiedono all’ammissione di un nuovo membro nella comunità, una sorta di cerimonia di battesimo nel corso della quale tutti I fedeli, di qualsiasi casta siano, vengono riuniti per una libagione comune a base di una miscela liquida di farina, burro e zucchero.
Vengono anche definiti i cinque <K>, gli obblighi cui ciascun Sikh di sesso maschile maschile deve attenersi: Kesha, i capelli e la barba lasciati crescere per tutta la vita, raccolti in una sottile reticella: Kangha, il pettine da portare sempre con sé, perché pettinarsi equivale a farsi una pulizia sia fisica che psichica ; Kara, il braccialetto di ferro al polso destra che indica il dovere di mutuo soccorso tra gli appartenenti alla comunità; Kirpan, la spada a due tagli che simboleggia l’origine guerriera di una stirpe di uomini pronti a battersi per la giustizia religiosa e sociale; Kacchara, l’uso (inconsueto in India) di portare delle mutande per poter fare liberamente le abluzioni rituali entro I cortile dei templi.
Il simbolo più vistoso di tutto il portamento sikh, il voluminoso turbante in seta o cotone dai colori vivaci, viene portato come segno della dignità di questo popolo d’onore e per indicare l’uguaglianza di tutti gli uomini.
GIOVEDÌ 21 SETTEMBRE 1995, IL MONDO INTERO APPRESE CHE DELLE STATUE INDÙ “BEVEVANO” DEL LATTE…
Mai prima d’ora simili miracoli si sono verificati simultaneamente e su scala tanto vasta. Televisioni, radio e stampa si sono occupati di questo straordinario fenomeno; giornalisti scettici hanno addirittura offerto personalmente il latte agli dei per poi costatare umilmente che il latte spariva veramente. Tutto iniziò, all’alba, in un tempio alla periferia di Delhi, in India, allorché il latte offerto ad una statua di Ganesh scomparve, come se niente fosse. La notizia si diffuse velocemente attraverso tutto il paese e, in poco tempo, migliaia di persone si misero a offrire del latte agli Dei, costatando stupefatti che esso spariva. Milioni di persone affermarono che anche le piccole statue collocate in casa “bevevano” il latte offerto.
Un prete di Delhi dichiarò che più di 5.000 persone erano entrate nel suo tempio: “Abbiamo avuto il nostro da fare per arginare la folla”. Una casalinga di Delhi che per due ore aveva atteso di poter fare la sua offerta alla statua in marmo bianco di Ganesh affermò: “L’Era del male sta terminando e forse gli dei sono qui per aiutarci”. Anche i più cinici manifestarono il loro stupore.
Secondo Suzanne Goldenberg, giornalista attiva a Delhi: “All’interno del santuario oscuro, la gente porgeva coppe in acciaio inossidabile o ciotole in terra cotta alla statua a cinque teste di Shiva, il distruttore del male, e al suo compagno, il serpente, e osservava il livello del latte che si abbassava. Visto l’entusiasmo, alcuni fedeli “sovralimentavano” in modo evidente l’idolo, ma il pavimento rimaneva pulito e ben asciutto”. L’India intera si ritrovò in un comprensibile scompiglio; il governo rimase paralizzato per più ore, come pure le borse di Bombay e New Delhi, mentre milioni di cittadini – in casa o al tempio – offrivano del latte ai loro Dei.
Un altro fenomeno sorprendente si verificò in un grande tempio indù a Wimbledon, nel sud di Londra: qui il latte offerto alla statua di Ganesh spariva e – nel contempo – in un santuario dove c’è una grande fotografia di Sai Baba, della vibhuti (cenere sacra) usciva dalla fronte di Sai Baba e dell’amrita (nettare) fluiva dai suoi piedi. Numerosi giornalisti hanno assistito a questi fenomeni miracolosi. Rebecca Mae, giornalista del Daily Express scrisse: “Mi trovavo proprio davanti e perciò vedevo bene quanto accadeva; tutto quanto posso dire è che la statua ha verosimilmente aspirato metà del latte contenuto in un cucchiaio tenuto da un fedele, che in seguito ha bevuto il rimanente con devozione.”
Rikee Verma, giornalista del Times, scrisse la sua esperienza: “In quanto credente, andai dapprima nella mia camera al primo piano…. posi un cucchiaio di latte davanti a una foto di Ganesh e fui sorpresa nel costatare che qualche secondo dopo il cucchiaio era mezzo vuoto. Verificai se si fosse bagnata la cornice della foto, ma costatai che era asciutta. Ancora non riuscivo a credere ai miei occhi. Si trattava chiaramente di un messaggio degli dei che diceva: “Siamo qui, eccone una prova”. Andai poi al tempio di Sri Ram Mandir a Southall … Posi un cucchiaio di latte verso la proboscide del Ganesh; in pochi secondi il cucchiaio era vuoto…. Altri che hanno assistito a questo miracolo erano molto emozionati. “Il nostro Dio è finalmente arrivato”, dichiarò uno di loro.
L’avvento di un grande istruttore Mentre gruppi di giornalisti e di scienziati cercano delle spiegazioni per questi avvenimenti, numerosi indù credono che questi siano un segno dell’avvento di un grande istruttore.
La giornalista Rebecca Mae riferisce: “La maggioranza dei testimoni hanno affermato di recarsi al tempio solo di tanto in tanto e che certamente non sono dei fanatici religiosi. Sono però convinti che un nuovo essere divino è nato per salvare il mondo dal male”. Krishna Anratar Duvey, rinomato astrologo indiano, spiega che – secondo la mitologia indù – miracoli di tale portata si verificano quando una grande anima arriva nel mondo. Al tempio di Southall, a Londra, dove migliaia di persone sono state testimoni dei miracoli, il presidente M. Bharbari, ha fornito la seguente spiegazione: “Tutto quanto so, è che il nostro Libro sacro afferma che ogni qualvolta il male domina il mondo, una grande anima giunge per porre fine agli effetti del male e per ristabilire il bene. Crediamo che questo miracolo e quelli analoghi verificatisi in altri templi indù, sono il segno che una grande anima è venuta, come avvenne con il Signore Krishna o Gesù Cristo”. Fonte: The Guardian; The Independent; The Times; The Telegraph; The Daily Express; The Daily Mail, GB.
Il Maestro di Benjamin Creme spiega che all’origine di queste manifestazioni vi è Maitreya e un gruppo di Maestri, mentre nella fotografia nel tempio di Wimbledon è Sai Baba che ha creato la vibhuti e l’amrita. Il Maestro predice inoltre che presto si verificheranno miracoli ancor più sorprendenti. Questi “segni” sono in relazione all’apparizione imminente di Maitreya alla televisione. In un articolo apparso su Partage International nel luglio del 1992 il Maestro di Creme predisse: “Con il passare del tempo, anche agli elementi più cinici e tendenziosi del mondo mediatico diverrà difficile ricusare l’esperienza di migliaia di persone per le quali “l’Era dei miracoli” non conosce fine.”
Quando l’Islàm giunse in India, le popolazioni non si assoggettarono facilmente alla nuova religione, cosi diversa da quella propria tradizionale. La stessa arte indù.
Con la sua esuberanza figurativa, si poneva all’estremo opposto rispetto all’avversione per la rappresentazione di figure propria del pensiero musulmano.
Ma l’islàm in India non poté fare a meno di risentire della culture e della somma di tradizioni locali: ecco quindi che nelle comunità musulmane indiane si trovano le processioni di immagini dei santi (cosa strettamente vietata dall’lslàm del Vicino Oriente), la riduzione delle cinque preghiere giornaliere a una sola e, presso la tribù dei Mopla, nel Kerala (India del Sud) la stretta discendenza matrilineare, estranea alla mentalità virile musulmana ma comune alle tradizioni matriarcali delle aree tribali indiane.
L’eredità della dominazione islamica, durata nell’India del Nord ben 700 anni (dalle prime invasioni alla colonizzazione inglese), è oggi rappresentata dal ricchissimo patrimonio artistico Moghul e da circa 75 milioni di fedeli musulmani.
Tale relativamente ridotta presenza umana è dovuta al fatto che la forte cultura induista, che già aveva neutralizzato il buddismo, restò pressoché inalterate durante il periodo che va dall’XI al XVIII secolo, fossilizzando in una sorta di ortodossia sotterranea che le consenti, alla caduta dell’impero islamico, di riemergere incontaminata nei suoi tratti più peculiari.
Nella vita quotidiana dell’India attuale permangono, e in zone limitate, solo alcuni costumi islamici qual il PURDAH l’isolamento domestico cui è tenuta la donna, la quale deve in pubblico apparire col viso coperto e l’uso del narghilè.
I musulmani di oggi, quelli che al momento della spartizione del 1947 non si sono trasferiti in Pakistan., restano una minoranza (diffusa, a parte alcune città dell’Uttar Pradesh, negli stati confinanti con il Pakistan) che nel tempo tende sempre più a fondersi con la popolazione indù assimilando costume e il credo religioso.
In tutta l’India è facile imbattersi in incongruenze religiose a volte paradossali per voi italiani, abituati a una religione dogmatica e strutturata come quella cattolica.
L’induismo, invece, e non solo esso, si è frammentato, pur mantenendo un’unità originaria, in varie sette o scuole che si indirizzano verso l’adorazione di una divinità piuttosto che di un’altra.
Non è difficile riconoscere i VAISHNAVA, devoti del dio visnu poiché portano tracciate sulla fronte, come segno di riconoscimento, una linea perpendicolare rossa e due linee oblique bianche.
Appartenenti alla stessa setta si possono considerare anche i KRISHNAITI, i fedeli del dio Krishna che viene concepito come una susseguente reincarnazione del più antico dio Visnù.
I Krishnaiti si rifanno alla Bhagavad Gita e ai Bhagavat Purana, testi sacri dell’India che raccontano le avventure eroiche e leggendarie del dio che uccise il drago che molestava gli abitanti di Mathura, città sacra a Krishna perché la tradizione vi ravvisa il luogo della sua nascita, avvenuta nel IV millennio prima della nostra era.
I seguaci di questo dio credono nella bakthi, cioè l’azione devota verso la comunità, esercitata assistendo i malati e i bisognosi, per raggiungere la propria illuminazione.
Questa corrente si divide a sua volta in quattro diramazioni: quella che venera il Krishna della storia, Vasudeva ; quella che venera Krishna Bhagavat : quella dei Bala Krishna, il dio bambino ; e infine coloro che venerano Krishna Gopal, il dio pastore raffigurato nelle miniature, che si dedica ai giochi erotici con le pastorelle che come ninfe passeggiano con lui nei boschi descritti da Jayadeva (poeta e fervente adoratore del dio,vissuto nel XII secolo) nel poema pastorale Gita Govinda.
Un’altra importante corrente filosofica e religiosa dell’India è lo SHAKTISMO, i cui fedeli, adorando la dea Shakti, dimostrano la preferenza per l’energia femminile che permea tutto l’universo, in un culto simile a quello della Grande Madre, comune a moltissime civiltà mediterranee dell’antichità.
La dea, fonte d’amore e di tenerezza, viene venerata anche nella sua controparte terrifica, seminatrice di morte tra coloro che infrangono la legge divina : il suo nome diventa allora Durga o Kali, colei che dimora nell’Himalaya, e viene rappresentata iconograficamente cinta di teschi umani e di serpenti, in una interpretazione di origine anarya, cioè non arana.
Propria di questo culto è l’offerta di sacrifici rituali all’immagine della dea.
I GANAPA (Ganapatya) sono i fedeli che adorano Ganesha, il dio dalla testa di elefante, figlio, secondo una tradizione, di Shiva e Parvati, e secondo un’altra, invece, nato dalla fronte di Shiva e mutato in elefante dall’ira di Parvati, gelosa di questa nascita avvenuta senza la sua cooperazione.
Ganesha, ora simbolo della sapienza e della letteratura, in origine era adorato come dio della fecondità e del lavoro, e ancora oggi viene invocato all’inizio di ogni attività di rilievo.
Tra le sette religiose più antiche troviamo I SAURYAPATHA, devoti di Surya. I’antica divinità del sole dei Veda. Uno dei rituali più seguiti dai fedeli è la preghiera al sole nascente ( Surya Namaskar) che rinnova il ciclo eterno della vita.
Tra le correnti non propriamente religiose, ma che si inseriscono direttamente nel pensiero induista per induista per l’importanza loro attribuita da alcune scuole, va compreso L’HATA YOGA.
In origine tale disciplina nacque infatti come rivolta alternativa a quelle forme di ascesi mistica comuni alle correnti speculative e filosofiche del periodo storico.
Attraverso questa tecnica l’adepto può sperimentare il controllo sul proprio corpo, esaltandone le capacità a dispetto della concezione buddista del corpo come dolore. Gli asceti di yoga vengono chiamati siddhi o yogi, cioè coloro che hanno saputo dominare con la volontà il proprio corpo e l’energia ( denominata Kundalini) che in esso è racchiusa.
La meta fisica dello yoga è infatti di permettere al corpo di sbloccare l’energia vitale che circola in forma di respiro. ll mezzo più importante per giungere al grado di siddhi è la pratica del pranayama o scienze del controllo del respiro, secondo la quale occorre respirare in un certo modo armonico affinchè il respiro e la mente corrano su di uno stesso filo.
Con il padmasana, la posizione a loto tipica di moltissime raffigurazioni di divinità indù, e l’osservanza delle complesse pratiche ascetiche dell’Hata Yoga si può raggiungere l’illuminazione definite Asamprajnatasamadhi, <<assorbimento supremo>>
Due correnti si distaccano da quelle appena citate per una specifica importanza che hanno avuto all’interno della religione Indiana. La prime è il tantrismo, la seconda il lamaismo tibetano.
Il TANTRISMO (così detto dai libri canonici Tantra, redatti nel VI secolo d.c.) è uno degli atteggiamenti religiosi indiani che più ha interessato il mondo occidentale.
Lo si può definire un’interpretazione magica e occulta della religione induista.
Sembra infatti che abbia avuto origine da quelle correnti sciamaniche dei guru o degli yogi dell’induismo e del buddismo che nel VI secolo d.C. incominciarono ad opporsi alle pratiche rivendicando una totale compartecipazione dell’uomo natura.
Nel tantrismo si ha il ritorno alla dea madre Aditi prevedica, adorata sotto forma di pura potenza femminina nella dea Kali e in Durga della cento braccia, e dell’amore consorte di Shiva. Secondo il pensiero dei Tantra, tutta la nature deriva da una dea: dalla dea dell’abbondanza ad Annapurna, dea dei monti, da Laksmi consorte di visnù a Maryammei, dea del vaiolo e della morte.
La figura maschile più importante in questa correnteè il dio Shiva ; l’entità che egli forma con la sua controparte femminile Shakti simbolizza i due principi opposti ma complementari del del maschile e del femminile, Nella metafisica dei Tantram infatti, ogni manifestazione è bipolare suprema.
Ecco quindi che l’arte tantrica rappresenta il dio Shiva nella sua forma androgina di Ardhanarisvara, il dio metà vestito con abbigliamento maschile e per metà di corpo femminile.
Il fedele tantrico deve percorrere le stesse tappe del dio per conquistare quell’equilibrio metafisico che consente di raggiungere l’armonia dei due principi polari : poichè il corpo viene considerato parte integrante del cosmo, egli deve, per ottenere la propria illuminazione, seguire spontaneamente gli impulsi fisici utilizzando particolari formule rituali ( mantram) e alcune tecniche di meditazione (dharana).
Come accade per altre correnti, anche il tantrismo si divide in due scuole diverse, quella della <<mano destra>> o Daksinatantra e quella esoterica della <<mano sinistra>>o Vamatantra.
La prima assomiglia alle scuole yoga, mentre la seconda, praticata da un ristretto numero di fedeli, ha un suo rito peculiare per risvegliare l’energia vitale : la pratica del mithuna, accoppiamento sessuale che esprime la congiunzione tra il dio Shiva e la dea Shakti, il principio maschile e quello femminile.
Ma l’atto non deve permettere il raggiungimento dell’emissione seminale, in quanto è tramite il controllo che lo yogi tantra raggiunge l’esperienza metafisica del congiungimento dei contrari, proposta non troppo paradossale per il pensiero surrealista del’India.
Il LAMAISMO (lama significa <<maestro>>) del Tibet è una sintesi del buddismo dell’India con la religione sciamanica dei Bon delle regioni himalayane compresse tra il Ladakh e il Bhutan.
Il fondatore di tale culto è padma Shambava, un kashmiro ( che la leggenda vuole nato da un fiore di loto) presente in Tibet verso la prima metà dell’Vlll secolo d.C. In seguito altri riformatori enunciarono la teoria cosmologica secondo la quale il monte Meru (il Kailash) è la dimora degli dèi, i quali dominano su quattro mondi di cui uno solo è il nostro, mentre gli altri sono mitici.
Il lamaismo è caratterizzato da un complesso rituale liturgico che prevede per i sacerdoti abiti cerimoniali fastosi, ma la sua dottrina discende direttamente dal buddismo mahayana e prevede che tutti gli esseri possono liberarsi dal ciclo della nascita e della morte e raggiungere il nirvana se seguono con determinazione un metodo in cui hanno grande importanza la mistica e la pratica dello yoga.
Capo spirituale del buddismo tibetano è il Dalai Lama (<<il maestro [ la cui sapienza è infinita come l’] oceano>>), considerato la reincarnazione del Buddha Avalokitesvara.
Questi un tempo risiedeva nel monastero di Potala a Lasha ; oggi, dopo l’invasione cinese del Tibet, si trova pressi Macleodgangji, una piccola cittadina nella campagna indiana dell’Himachal Pradesh.
Alla morte del Dalai Lama, per nominarne il successore viene seguito un particolare rituale : ad alcuni bambini, scelti perché in possesso di precisi requisiti, vengono presentati degli oggetti, di cui uno solo appartenuto al defunto : chi lo individua viene riconosciuto come nuovo capo spirituale della comunità.
Anche se il Dalai Lama è il personaggio piú famoso del lamaismo, non per questo bisogna disconoscere l’importanza di un altro maestro, il Tashi Lama, il quale viene considerato la reincarnazione del Buddha Amithaba ed è a capo della corrente di pensiero dei <<berretti rossi>> o Nyingmapa.
Il buddismo tibetano, infatti, dopo i’incontro con le scuole sciamaniche e magiche dei Bon si divise nella setta dei <<berretti gialli>> asceti che trascorrono la propria vita in cavità rupestri praticando arti magiche come il loro maestro spirituale Milarepa, e in quella dei <<berretti rossi>>, che si college alla figura di Padma Shambava.
Un pò di Abhaneri, Rajasthan – India :-
Abhaneri un piccolo villaggio che si trova circa 95 km da Jaipur sulla strada per Agra, questo villaggio isolato circondato da ondulati campi di grano possiede uno dei pozzi più inquietanti di tutto il Rajasthan. Il Chand Baori (il pozzo) è 20 metri profondo e ha circa 11 livelli di scalini che sortiscono un effetto geometrico. Il tempio Harshat Mata in arenaria di colore arancio ed il palazzo (ormai decadente), furono fatti costruire dal re Chand Abhaneri. Questo luogo merita una sosta sulla strada fra Jaipur ed Agra.
Un pò di Alsisar, Rajasthan – India :-
Il villaggio di Alsisar dista 23 km dal centro di jhuhjhunu nella regione dello shekhavati. Il villaggio é ancora intatto e poco turistico ed é composto da alcune splendide haveli con affreschi ben preservati. Si può anche pernottare nello splendido Alsisar Mahal, gustandosi la tranquillità del villaggio lontano dalle caotiche città del Rajasthan.
Un pò di Bharatpur Bird Sanctuary, Rajasthan – India :-
Il Parco Nazionale Keoladeo Ghana, maggiormente noto come Bharatpur Bird Sanctuary (Riserva degli uccelli di Bharatpur), è la riserva ornitologica più abitata del paese. Il parco è per due terzi sotto l’acqua mentre la parte restante è coperta da foreste decidue e da vaste praterie. Bharatpur è il vero e proprio regno della fauna ornitologica in India, dove si possono trovare non meno di 377 specie di uccelli. Con un po’ di fortuna non sarà difficile avvistare da 50 a 100 specie diverse in un giorno. Se decidete di venirci in inverno, preparatevi per un improvviso (anche abbastanza improbabile) incontro con l’elusiva gru siberiana che usa trascorrere qui l’inverno. Bharatpur è di fatto uno dei due unici rifugi invernali della gru siberiana. Gli altri uccelli giungono a ondate in questo parco nazionale. Bharatpur è aperto ai visitatori durante tutto l’anno, ma è consigliabile visitarlo tra agosto e la fine di marzo. Il miglior modo di vedere il parco è a piedi ma è anche possibile noleggiare biciclette o risciò.
Hotel Laxmi Vilas Palace, Bharatpur, Antico Palazzo nobiliare nato nella seconda metà del 19° secolo, è stato trasforamato in un Hotel situato a 8 km. dalla stazione ferroviaria,...
Regenta Resort a Bharatpur, Rajasthan, è un hotel a 4 stelle con le sue 49 camere con aria condizionata e tutti i comfort.
Regenta Resort a Bharatpur, Rajasthan, offre...
Un pò di Bikaner, Rajasthan – India :-
Il Rathore del Mewar Jodha Singh aveva fondato la città Jodhpur nel 1459. Uno dei suoi figli Rao Bika, intraprendente e ansioso di rendersi indipendente, intraprese una campagna militare per conquistare questa zona del deserto. Egli sconfisse i Bhatti di Jaisalmer, si impadronì di questo lembo di deserto dando origine a una dinastia che è durata fino alla nascita della Repubblica Indiana. Il Lalgarh (Red Fort o Forte Rosso), ora in parte trasformato in un lussuoso albergo, è un palazzo del XIX secolo che si erge fra vasti prati.
Hotel Narendra Bhawan, l'ultima residenza della famiglia reale di Bikaner costruito nel 1969 (il miglior hotel di Bikaner), dispone di 82 camere tutte dotate di un arredamento accogliente...
Hotel Laxmi Niwas Palace, Antico palazzo della famiglia reale di Bikaner costruito nel 1896 (Uno dei migliori hotel a Bikaner), dispone di 60 camere tutte dotate di un...
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Hotel Heritage Resort, Bikaner, dispone di 50 camere tutte dotate di un arredamento accogliente con comfort come TV a schermo piatto e aria condizionata per offrire agli ospiti...
Hotel Brij Gaj Kesri, Bikaner, dispone di 41 camere tutte dotate di un arredamento accogliente con comfort come TV a schermo piatto e aria condizionata per offrire agli...
Un pò di Chittorgarh, Rajasthan – India :-
La grande fortezza in cima alla collina di Chittorgarh incarna alla perfezione lo spirito romantico e tragico che pervadeva gli ideali cavallereschi dei Rajput. Nel corso della sua lunga storia, Chittor venne saccheggiata per tre volte da nemici più forti e in ogni occasione gli assalti terminarono secondo la classica tradizione rajput che prevedeva il Jauhar ( Suicidio collettivo ) di fronte all’inevitabilità della sconfitta. Gli uomini indossavano gli abiti del martirio color zafferano e uscivano dal forte sui loro cavalli per andare incontro a una morte certa, mentre le donne e i bambini si immolavano su un’enorme pira funeraria. Per loro l’onore era sempre più importante della morte ed è per questo che Chittor occupa ancora un posto speciale nel cuore di molti Rajput.
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